Carbonazione forzata – Ep.2: La prova

Nel precedente episodio ci siamo lasciati con la parte teorica e progettuale del passaggio a fusti e CO2. Adesso è arrivato il momento di raccontarvi com’è andata la sua sperimentazione.

ATTENZIONE: Lavorare in pressione può essere molto pericoloso, soprattutto se non si utilizza l’attrezzatura corretta. Questa è una prova di passaggio verso un impianto in inox fatta con fusti in plastica che non vanno assolutamente portati in pressione. Nel caso vogliate seguire questa strada vi consiglio di usare direttamente un fusto in inox oppure fermentatori specifici.

Shopping

Per prima mi sono messo a cercare qualche fusto sui vari mercatini dell’usato presenti su Facebook. In poco tempo ho trovato da un ragazzo di Napoli due fusti Cornelius da 19 litri completamente rigenerati, sanitizzati e con le guarnizioni sostituite a 35€ ciascuno che mi sono stati consegnati pochi giorni dopo. Forse non il migliore dei prezzi, ma calcolando che i fusti erano come nuovi non mi sono posto alcun problema.

Qualche giorno dopo mi sono recato nella vicina Slovenia da Figelj, partner dell’Associazione Homebrewers Gorizia, per comprare una bombola di CO2. Ne ho subito trovata una da 10kg a circa 180€ oltre ad uno sconto in quanto partner della nostra Associazione.

La Beergun l’ho trovata velocemente su Aliexpress a 33€, e in meno di tre settimane mi era già stata consegnata. Finalmente ho potuto misurare i diametri dei tubi che in effetti combaciavano con quanto raccolto sul web.

Riguardo manometro per il fusto invece ci ho pensato un po’. Dato che comunque se questo sistema avesse funzionato avrei voluto provare a fermentare in pressione, ho deciso di comprare direttamente una spunding valve per poterla usare in entrambe le situazioni.

Tutto il resto, ovvero raccorderia John Guest, attacchi Jolly e riduttore di pressione invece li ho ordinati direttamente sul sito di Mr. Malt assieme agli ingredienti necessari a realizzare due birre con le quali avrei verificato tutto il processo.

L’unica cosa che non ho comprato è stato il tubo da 9.5mm: per qualche motivo il mio amico Giovanni aveva a casa un’intera bobina, e perciò me ne ha gentilmente regalato diversi metri.

Assemblaggio

Ho cominciato dalla parte più facile: verificare se si riesce ad attaccare il tubo sull Beergun: il tubo aderiva bene al portagomma del gas mentre il tubo birra entrava perfettamente nel riduttore John Guest.

A questo punto sono passato al fermentatore. Per prima cosa ho praticato due fori da 21 mm sul coperchio del fermentatore. Ci ho inserito i due passaparete assieme ad una guarnizione per lato per ognuno di loro. Dopodiché ho tagliato il tappo John Guest creando un tubicino rigido su cui fissare il tubo in silicone della sfera galleggiante. Ho accorciato il tubo in silicone in modo che corrispondesse con l’altezza del fermentatore e ho provato ad infilarlo sul tubicino. Ammetto che nonostante la morbidezza del tubo ci ho messo un po’, ma alla fine aderiva alla perfezione e anche tirando non si sfilava.

Non restava che fare una prova: ho montato il regolatore e l’adattatore John Guest sull bombola di CO2 (per la quale nel frattempo mio papà ha costruito un carrello), riempito il fermentatore d’acqua e provato a spingere quell’acqua in un secchio. Funzionava tutto secondo i piani, mi sembrava quasi troppo facile.

Fase 1: Fermentazione

Dato che era periodo di vendemmia ho deciso di fare come cotta pilota per questo impianto la mia tradizionale IGA. Niente a che vedere con il progetto, ma ho deciso di aumentare la quantità di mosto per capire in che modo andava ad influire sul sapore della birra finale.

Durante la fase di bollitura ho provveduto a forare la parete del frigo in cui avrei fermentato la birra per farci passare un pezzo di tubo da 9.5mm: questo tubo lo dovevo utilizzare per il cold crash, ma non volevo fare fori e lavorare con l’avvitatore con il fermentatore in frigo. A fine cotta ho riempito il fermentatore e chiuso il coperchio con la sfera che galleggiava sul mosto. Ho montato entrambi i rubinetti e portato il tubo di scarico CO2 in un vasetto pieno di sanitizzante, lasciando lavorare in pace i lieviti per circa 14 giorni.

A questo punto era arrivato il momento del cold crash. Per prima cosa ho chiuso il rubinetto gas del fermentatore e sfilato il tubo. Dopodiché ho collegato il tubo che usciva attraverso la parete del frigo alla bombola di CO2 e regolato il flusso in modo tale che fosse leggermente percettibile l’uscita di gas. Lasciando soffiare ho infilato il tubo sul rubinetto gas del fermentatore in modo da non avere aria nel tubo. Ho riaperto il rubinetto del fermentatore e “non è successo niente”, il che significa che il sistema funzionava. Ho impostato direttamente la temperatura target e lasciato il tutto a riposare.

Il giorno dopo ho fatto un controllo, la temperatura era ormai al punto fissato e tutto era in ordine: per il momento un successo! Ho chiuso il frigo e lasciato tutto fermo per circa tre giorni.

Fase 2: Travaso in fusto

Per prima cosa ho preso uno dei due fusti e sfiatato, per poi aprirlo e sanitizzarlo: nonostante fosse già sanitizzato ho voluto comunque provare tutta la procedura. Per prima cosa ho fatto scorrere dello sanitizzante dal connettore birra in modo da far entrare il prodotto dal tubo interno al fusto. Dopodiché ho chiuso il fusto e con la classica tecnica dello scuotere diverse volte l’ho sanitizzato. Dopo averlo fatto sgocciolare dovevo eliminare l’ossigeno presente al suo interno. In base a quanto riportato nel libro Fare la birra in casa e da quanto discusso con altri homebrewer, ho deciso di fare una serie di cicli carica – scarica di CO2 nel fusto (quattro o cinque sono sufficienti). In questo modo ad ogni ciclo avrei ridotto la presenza di ossigeno dentro il fusto.

A questo punto ho collegato il tutto con i rubinetti chiusi, regolato la pressione della bombola al minimo necessario e sfiatato il fusto finale. In teoria, aprendo il rubinetto verso il fusto e quello dalla bombola di CO2, la birra avrebbe dovuto defluire nel fusto. Beh ho fatto un errore: ho dimenticato di aprire il rubinetto che dal fusto andava nel vasetto di scarico CO2 prima di aprire quello che dal fermentatore andava al fusto. Il minimo di pressione residua del fusto (comunque troppa per un semplice fermentatore in plastica) si è trasferita nel fermentatore e quindi nella direzione opposta. Per evitare che il fermentatore si rompesse ho staccato un tubo per scaricare la CO2 in eccesso. Ho deciso comunque di sospendere la prova e lasciare riposare la birra al freddo nel caso si fossero mossi i sedimenti.

Due giorni dopo ci ho riprovato, stavolta aprendo i rubinetti nell’ordine giusto. Come previsto la birra ha cominciato a spostarsi nel fusto e i numeri sulla bilancia hanno cominciato a scorrere verso l’alto.

Una volta riempito il fusto restava ancora poca birra nel fermentatore che ho deciso di versare direttamente in bottiglie da 75cl da far rifermentare alla vecchia maniera. In questo modo avrei potuto fare anche un confronto delle due tecniche.

Fase 3: Carbonazione forzata

Si potrebbe dire che per il momento il peggio era passato. La parte che più mi preoccupava era passare da attrezzatura in plastica ad attrezzatura che lavora sotto pressione, e nonostante il piccolo errore il tutto ha funzionato come previsto.

Chiusa la bombola e il regolatore di pressione, l’ho collegata tramite il tubo che entra in frigo al connettore birra del fusto, mentre sul connettore gas ho montato spunding valve completamente chiusa. Dopo aver consultato la tabella di carbonazione ho aperto la bombola e cominciato ad alzare lentamente la pressione fino ad arrivare a quella desiderata considerando che avrei carbonato, come consigliato, a 7°C.

Ogni volta che alzavo la pressione si sentiva rumore di bolle nel fusto e la lancetta della spunding valve cominciava a salire. Dato che lo spostamento non era istantaneo ho aspettato comunque un po’ tra un’alzata e l’altra per dare tempo al manometro di regolarsi sulla pressione esatta. Devo confermare quanto mi è stato detto: la lettura del manometro posto sul fusto è decisamente più veloce e precisa rispetto a quello sulla bombola, anche se probabilmente si tratta solamente di dare tempo ai vari manometri di stabilizzarsi.

Il libro a questo punto spiegava che non c’è una tempistica esatta in cui la birra avrebbe assorbito la CO2, e comunque la velocità di questo processo varia in base alla temperatura. Dato che non avevo particolare fretta ho deciso di lasciare il fusto a carbonare con la bombola aperta per due settimane. Dopo due settimane ho provato a spinare una birra direttamente dal fusto ed era carbonata alla perfezione. Non restava che imbottigliarla.

Fase 4: Imbottigliamento

A questo punto era il momento di provare la beergun. Dopo aver sanitizzato tubi e beergun, ho collegato tramite uno sdoppiatore John Guest un tubo al connettore gas del fusto e l’altro alla beergun. Un terzo tubo invece collegava la linea birra del fusto all beergun assieme a un rubinetto di sicurezza.

Ho inserito la beergun nella bottiglia fino a raggiungere il fondo e premuto il grilletto: al contrario di quanto mi aspettassi la bottiglia si è riempita di schiuma. Dopo qualche bottiglia però ha smesso di fare schiuma permettendomi di riempire bene le bottiglie. Sono giunto a conclusione che semplicemente la pressione post-carbonazione del fusto era eccessiva, e probabilmente scaricando un po’ di gas dal fusto prima di cominciare eviterebbe la schiuma nelle prime bottiglie.

Per evitare che restasse ossigeno nella bottiglia ho seguito i consigli del libro estraendo la pistola man mano che la bottiglia si riempie. Giunti al collo con un colpetto di beergun si crea un po’ di schiuma per riempire il collo della bottiglia, gesto che necessita di un po’ di pratica. In poco tempo ho svuotato il fusto senza particolari intoppi.

Fase 5: Degustazione

Ho approfittato delle festività Natalizie per aprire assieme agli amici due bottiglie contemporaneamente, una rifermentata e una forzata, per fare un confronto:

  • Aspetto: lasciando i sedimenti nella bottiglia rifermentata, le due birre apparivano simili, con la schiuma più persistente nel caso della rifermentata.
  • Aroma: La rifermentata all’apertura aveva sentori da lievito che quasi coprivano il sapore di vino ma che con il tempo sparivano. Assieme a questi sentori però si ammorbidiva leggermente anche l’aroma principale. Quella forzata invece presentava da subito l’aroma principale mantenendolo intenso e piacevole nel tempo senza alcun off-flavor di lievito.
  • Bocca: La sensazione in bocca ha rivelato un errore in fase di carbonazione ed imbottigliamento: non ho considerato la perdita di carbonazione nel passaggio da fusto a bottiglia non in pressione. La carbonazione risultava molto più decisa ed adeguata nella birra rifermentata. Pertanto, per imbottigliare è necessaria una leggera sovracarbonazione.
  • Sapore: Il sapore delle due birre era abbastanza simile, anche se in quella rifermentata risultava più tagliente e un po’ meno piacevole oltre a lasciare una sensazione alcolica leggermente più intensa e fastidiosa.

Nonostante l’errore di carbonazione la qualità del prodotto, l’aroma e il sapore risultavano decisamente migliori nella versione carbonata forzatamente. Anche i miei amici hanno apprezzato molto più questa birra definendola più pulita e saporita.

Conclusioni

Sono estremamente soddisfatto dai risultati ottenuti da questa sperimentazione. A parte qualche problema causato dalla semplice inesperienza il processo nel suo complesso è decisamente semplice, e il prodotto finale ha una qualità molto più elevata.

Pertanto, il prossimo passo è la sostituzione del fermentatore in plastica con uno in inox. Alla prossima puntata!

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