Carbonazione forzata – Ep.1: L’idea

Fusti e CO2 sono sempre stati una pulce nell’orecchio per me, ma mai al punto di farmi decidere di avventurarmi in questo mondo. Mi trovavo bene con i metodi classici: cotta da 22 litri in fermentatore di plastica a fondo piatto, travaso con sifone in un secchio di plastica, priming direttamente nel secchio e poi imbottigliamento con un’asta da travaso. Semplice ed economico, non vedevo alcun motivo per passare ad altre tecniche più costose e complicate.

Ma come ogni homebrewer ben sa, per quanto uno possa resistere alla curiosità ed alla voglia di sperimentare prima o poi cederà. E questo nell’homebrewing si trasforma in parecchio tempo da investire e spesso anche soldi. Ma non è forse questa l’essenza di una passione?

Ed eccomi qui ad ammettere di aver ceduto alla tentazione di passare a lavorare con fusti e CO2. Il motivo è tanto semplice quanto ovvio: alzare l’asticella della qualità del prodotto finale. Rispetto a come ho lavorato finora, un aggiornamento produttivo di questo tipo porterebbe a molteplici vantaggi:

  • evitare un’alterazione del sapore della birra dovuta ad una rifermentazione non prevista ma inevitabile;
  • ottenere una birra decisamente più pulita;
  • eliminare i sedimenti in bottiglia che a diverse persone possono dar fastidio;
  • migliorare sapori ed aromi riducendo al minimo l’ossidazione;
  • aumentare notevolmente la durata del prodotto riducendo al minimo l’ossidazione;

Tutto ciò ha come contro un certo investimento in attrezzature e tempo nella ricerca e nell’apprendimento, ma come già detto, questo fa parte del gioco e della passione. In ogni caso ho deciso un approccio passo-passo acquistando solamente quanto necessario e cercando di adeguare ed autocostruirmi più attrezzatura possibile per una prima sperimentazione e solo dopo, in caso di successo, completare l’impianto definitivo.

Per chiunque voglia lanciarsi in questo mondo, anticipo che oltre ad amici homebrewer e blog vari, la maggior parte del know-how l’ho appreso dal libro Fare la birra in casa di Antonelli e Ruggiero: a mio avviso il perfetto manuale operativo che ogni homebrewer dovrebbe avere e che vi consiglio caldamente di acquistare (vi lascio un link)

 

L’idea dell’impianto

L’idea di base del primo passo era mantenere l’attuale tecnica di fermentazione non in pressione affiancandole la carbonazione forzata in fusto tramite una bombola di CO2. La fermentazione in un primo momento verrà fatta nel vecchio fermentatore in plastica, per essere sostituito successivamente da uno in inox.

Il problema principale di questo tipo di travaso con questo tipo di fermentatore era evitare il travaso di sedimenti di fermentazione dovuti al pescaggio dal rubinetto sul fondo. Per aggirare questo problema, la soluzione migliore mi sembrava essere l’uso di sfere galleggianti presenti nei comuni fermentatori isobarici che permettono di pescare la birra dall’alto anziché dal rubinetto.

Restava l’incognita dell’imbottigliamento: esistono sul mercato diverse soluzioni casalinghe per imbottigliare in assenza di ossigeno (iTap, Ardpressure, ecc.) ma dato che volevo procedere per passi ho deciso per una comune beergun  che mi permetta di saturare le bottiglie di CO2 prima di riempirle.

Per rendervi quanto più chiara possibile la mia idea ho preparato un piccolo schema riassuntivo che identifica le quattro principali fasi del processo.

 

 

Fase 1: Fermentazione

Come già detto per il momento volevo mantenere l’attuale tecnica di fermentazione e l’attuale attrezzatura. Il punto di partenza sarebbe stato perciò il vecchio fermentatore in plastica a fondo piatto di Mr.Malt da 28 litri a cui intendevo applicare alcune modifiche.

Al di là del progetto in questione, confrontandomi con colleghi homebrewer abbiamo constatato negli anni che il gorgogliatore o il classico tubo con vasetto d’acqua rappresentano non pochi problemi durante la fase di cold crash. In questa fase infatti si va a creare pressione negativa nel fermentatore che comporta un “risucchio” dall’esterno. Nel caso del gorgogliatore questo farà entrare aria – e ossigeno – nello stesso modo in cui fa uscire la CO2, mentre se si utilizza il tubo questo comincerà a risucchiare liquido dal vasetto: se questo dovesse raggiungere il fermentatore non sarebbe certo il massimo. In questo secondo caso credo che il problema sia comunque gestibile usando un tubo lungo per evitare che il liquido raggiunga il fermentatore. La modifica che ho in testa in effetti tiene conto anche di questo problema.

Per prima cosa intendevo sostituire guarnizioni e tubi con raccordi John Guest in modo da garantire chiusure ermetiche, semplicità di smontaggio e raccordi standard. Intendevo perciò applicare un passaparete in cui avrei infilato direttamente un tubo John Guest da portare al vaso. Questo già mi risolveva il problema cold-crash, in quanto bastava collegare il tubo alla bombola di CO2 leggermente aperta e il fermentatore avrebbe risucchiato CO2 invece di liquido o ossigeno.

Il secondo punto era l’applicazione della sfera: questa non era di tipo John Guest, quindi si rendeva necessario un po’ di inventiva, anche perché sui vari siti non erano indicate le misure del tubo. Inizialmente, essendo il tubo di silicone ho pensato che nel peggiore dei casi l’avrei infilato con la forza su un pezzo di tubo John Guest. Dato però che avevo un tappo John Guest, la soluzione che ho pensato è stata di tagliarlo alle estremità trasformandolo in un tubo rigido su cui applicare, sempre con la forza, il tubo di silicone. Il resto del montaggio era analogo a prima con l’applicazione di un secondo passaparete.

In entrambi i casi volevo applicare anche dei rubinetti. Quello applicato alla sfera sarebbe stato chiuso durante tutta la fermentazione per essere aperto solo durante il travaso. L’altro rubinetto serviva per chiudere la linea nel momento che si passava dal vasetto con il liquido alla bombola di CO2 prima del Cold Crash.

Per motivi di spazio ho deciso di uscire con dei gomiti a 90°. Essendo tutto standard John Guest non sarebbe stato un problema. Riporto uno schema delle modifiche del coperchio del fermentatore.

 

Fase 2: Trasferimento in fusto

L’idea di questa fase era sfruttare la connessione bombola – fermentatore usata nella fase di cold crash per spingere la birra attraverso la linea della sfera fino al fusto. Qui non c’era granché da ingegnarsi, sarebbe stato sufficiente l’acquisto dei corretti connettori per il fusto. Inoltre, avendo deciso di utilizzare raccordi John Guest, trovare tutti i componenti corretti sarebbe stato stato semplicissimo e veloce.

Per conoscere la quantità di birra nel fusto avrei usato una semplice bilancia come consigliato in qualsiasi libro o blog considerando che un litro di birra pesa circa 1kg.

 

Fase 3: Carbonazione

Ed è in questa fase che sarebbe stata creata la magia che mi avrebbe permesso di eliminare completamente la fase di priming, la conseguente ossidazione, i sedimenti in bottiglia e l’alterazione organolettica dovuta alla rifermentazione.

Niente fai da te qui, ho seguito alla lettera quanto riportato nel libro Fare la birra in casa: collegare la bombola al fusto e applicare una precisa pressione in base a temperatura e carbonazione desiderata. Il libro riporta una praticissima tabella che non lascia alcun dubbio in merito.

Su consiglio di un amico ho deciso di fare una piccola spesa extra acquistando un manometro da applicare direttamente al fusto per avere una lettura precisa della pressione. A detta sua infatti, applicare pressioni precise con il solo manometro della bombola poteva essere un po’ difficile soprattutto all’inizio.

 

Fase 4: Imbottigliamento

Arriviamo così alla parte finale. Come già anticipato per imbottigliare la birra ho deciso di usare una beergun. Ho deciso di non prendere la meravigliosa Blichmann ma di ripiegare sulla versione cinese. Anche qui non trovavo alcuna informazione riguardo i diametri dei tubi, ma alla fine sono riuscito a scoprire che il portagomma gas va bene per i tubi John guest da 9.5mm, mentre il tubo birra era “attorno ai 6mm”: ho deciso di prendere un riduttore John Guest, e nel caso non fosse andato bene avrei provato a fissarci direttamente qualche tubo con una fascetta.

Come tecnica avrei seguito i classici consigli, saturare di CO2 la bottiglia e poi riempirla tirando verso l’alto la pistola man mano che si riempie la bottiglia sperando che mi crei quel poco di schiuma che riempirà anche il collo della bottiglia.

 

Lista spesa

Non mi restava che raccogliere il materiale in mio possesso e ordinare quanto necessario. Prima di darmi allo shopping compulsivo ho pensato ad una lista di materiale necessario per realizzare tutto l’impianto.

Per il fermentatore mi sarebbero serviti:

  • 2X Passparete 1/2″ John Guest 9,5mm
  • 4X Guarnizioni da ½”
  • 2x Gomito maschio-femmina John Guest da 9,5mm
  • 2x Rubinetti John Guest da 9,5mm
  • Codolo cieco John Guest da 9,5mm
  • Sfera galleggiante con tubo
  • Fermentatore economico a fondo piatto

Per le connessioni con i fusti:

  • Coppia attacchi Jolly Birra/Gas con filetto da 7/16”
  • 2x raccordo John Guest da filetto 7/16” a 9,5mm
  • Almeno un fusto Cornelius da 18 litri

Per l’imbottigliamento:

  • Riduttore John Guest da 9,5mm a 6,35 mm
  • Beergun cinese
  • Sdoppiatore John Guest da 9,5mm

E per quanto riguarda la CO2:

  • Bombola di CO2
  • Riduttore di pressione CO2
  • Raccordo John Guest da filetto 7/16” a 9,5mm

Oltre a tutto ciò svariati metri di tubo John Guest da 9,5mm.

 

Continua…

Per adesso mi fermo qui, continuerò nel prossimo articolo dove vi racconterò di acquisto, assemblaggio, collaudo ed utilizzo.

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